Oggi è il giorno di Meloni a Baku. Tra i pochi premier presenti, per un motivo ben preciso: Azerbaigian e Italia hanno strettissimi legami sull’approvvigionamento delle fossili. Il paese azero infatti fornisce il 57% delle proprie esportazioni petrolifere all’Italia. Baku inoltre esporta in Italia circa il 20% della sua produzione di gas, rappresentando ad oggi circa il 16% dell’import totale di gas e posizionandosi come secondo fornitore di gas per l’Italia dopo l’Algeria. Un petrostato, come si dice in questi casi.
“Petrolio e gas sono doni di Dio”, ha detto il presidente azero Aliyev. Mentre la presidente “madre” ha citato fantomatiche soluzioni come la fusione nucleare. Ma se lavora “per politiche che consentiranno a mia figlia e alla sua generazione di vivere in un posto migliore”, perché parlare di tecnologie che non esistono ancora?
Ma le contraddizioni non finiscono qua. Le violazioni dei diritti umani e le restrizioni alla vita civica in Azerbaigian sono all’ordine del giorno: ad aprile 2024, Anar Mammadli, cofondatore dell’iniziativa “COP29 Climate of Justice” e presidente del Center for Election Observation and Democracy Education, è stato arrestato. Ad agosto è stato arrestato anche il ricercatore ricercatore Bahruz Samadov, e rischia l’ergastolo. I giornalisti investigativi di Abzas Media sono stati detenuti con accuse fasulle di contrabbando illegale, mentre dal luglio 2023, dozzine di giornalisti, società civile e attivisti politici sono stati imprigionati con accuse quantomeno “sospette”.
Senza giustizia sociale non possiamo pensare di risolvere la crisi climatica. Perché sono strettamente interconnesse.